Storia
Storia
Cenni storici
Non esistono notizie precise sulla fondazione di Poggio Renatico: il ritrovamento di olle vinarie testimonia tuttavia origini remote. Il paese viene menzionato già in documenti bolognesi di età medievale con il nome di Podio, Podio Rognatico o Raunatico e infine di Poggio Renatico. L'etimologia del toponimo è legata ai termini podium: che fa riferimento ai cumuli artificiali di terra emergenti dalle acque, e reunatico (da reuna), a indicare una molta sabbiosa.
Signori di Poggio, secondo alcune fonti sin dal 972, furono i Lambertini. La prima fase del loro dominio conobbe alterne vicende: nel 1363 i Viscontiani assalirono il castello di Poggio, che nel 1390 Bologna riconobbe ai Lambertini; nel 1403 il feudo venne confiscato ad Aldraghetto Lambertini e affidato al capitano ferrarese Uguccione Contrari, quindi venne restituito nel 1412; a metà del '500 poi una serie di attentati, attribuiti a Girolamo [forgia, figlio naturale del duca Valentino, scosse la casata bolognese. La dinastia governò a lungo su Poggio Renatico: al 1598 risalgono gli "Statuti della Comunità del Pogio” emanati da Cornelio e Cesare Lambertini, confermati da Guido Antonio nel 1662; nel 1625 Cornelio poté erigere a marchesato la contea del Poggio; nel 1738 i signori del 'Podio Renatico et Uniti' fissarono i confini dei loro possedimenti collocando dei cubi di marmo di Verona, tuttora visibili intorno alla piazza. Il feudo passò il 10 luglio 1735 a Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV. Alla sua morte però, il 3 maggio 1758, la grandezza dei Lambertini entrò in crisi, provata anche dalle rotte del Reno e dai fermenti che sfociarono nella rivoluzione francese.
All'estinzione della stirpe, agli inizi delr800, Poggio Renatico seguì la sorte del territorio bolognese e passò al dominio pontificio, sotto la giurisdizione del Legato di Bologna: fu allora sede di un Governatorato, di una Pretura, delle Carceri Mandamentali e di un grosso Comando di Carabinieri Pontifici. Con Regio Decreto del 15 dicembre 1860 11 paese fu incluso nella Provincia di Ferrara. Poco dopo, il 20 gennaio 1862, fu inaugurato il tronco ferroviario Ferrara-Bologna, con la chiusura della vecchia stazione di posta a cavallo di Gallo.
Questo glorioso passato ha lasciato importanti testimonianze: il Castello Lambertini, di fondazione medievale; le torri, con cui sin dall'Alto Medioevo il territorio poggese venne fortificato (Torre dell'Uccellino, Torre del Cocenno, Torre Verga, Torre del Poggio); l'ex abbazia di San Michele, una delle più antiche pievi della Diocesi di Bologna; l'abbazia di San Michele, inaugurata il 29 settembre 1907; le ville padronali (Villa Sanguettola, Villa Vezzani, Villa Gualandi); l'antico impianto aeroportuale Giuseppe Veronesi, che oggi ospita la base dell'Aeronautica Militare.
La storia di Poggio Renatico è inoltre profondamente correlata alla contiguità con il fiume Reno, che ne ha fortemente influenzato l'assetto urbanistico e architettonico, il cammino economico e sociale. Se l'inalveamento artificiale nel corso attuale, nel 1724, consentì la costituzione delle prime possessioni rurali intorno a cui si sviluppò l'abitato, le sue piene e le sue rotte hanno spesso seminato distruzione. Nel recente passato le acque hanno invaso il paese nel 1842, nel 1864, nel 1889, nel 1896, nel 1949, nel 1950 e nel 1951.
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Il capoluogo
Il Territorio
Sono cinque i centri abitati che connotano il territorio comunale di Poggio Renatico. Intorno al capoluogo, al di qua del fiume Reno, si schiudono nella rigogliosa campagna strappata un tempo alle acque le frazioni di Chiesa Nuova, Coronella, Gallo e Madonna Boschi. Ognuno di questi paesi è contraddistinto da una propria storia e da proprie peculiarità e tipicità, che ben si armonizzano però nell'ambito della comune identità e dell'appartenenza poggesi.
Poggio Renatico
Il capoluogo conserva le testimonianze più numerose della storia del territorio comunale.
Percorrendo le vie di Poggio Renatico è infatti possibile intraprendere un suggestivo cammino a ritroso nel tempo: sono i monumenti a parlarci di epoche lontane e a custodirne la memoria. Dal castello, centro propulsore della vita del paese attraverso i secoli (prima maniero, poi palazzo, infine residenza municipale), alle torri, opere fortificatorie simbolo stesso del periodo feudale; dalle chiese, luoghi di una religiosità profonda e mai sopita, alle ville, emblema di una civiltà che nell'agricoltura affonda le sue radici economiche, sociali e culturali.
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Chiesa Nuova
Chiesa Nuova si apre in -una rigogliosa campagna le cui origini sono antichissime. E' infatti attestato che la Valle Raveda, che nel X secolo si trovava sul confine orientale della corte di Trecentola e di Ponte Duce (attualmente territorio di Casumaro), nel 1017 venne donata dalla madre della contessa Matilde a Nonantola. Le prime "possessioni” si costituirono intorno alla metà del XVIII secolo, quando l'agro poggese fu liberato dalle paludi, dopo che il fiume Reno, levato dal corso Mirabello-San Martino, fu inalveato nel Cavo Benedettino, nel 1767.
Per consentire la preghiera ai contadini fu allora edificato un piccolo oratorio. La storia del paese affonda le proprie radici, intorno ai 1829, nella costruzione di una chiesa nuova - da cui appunto il toponimo-, capace di far fronte alle esigenze delle genti della zona, per cui il precedente oratorio era ormai divenuto insufficiente.
La chiesa, commistione di vari elementi architettonici, innalzata a spese di tutti i paesani, fu dedicata a San Giovanni Decollato: la festa del patrono ha tuttora luogo il 24 giugno. Venne eretta a parrocchia nella seconda metà del XIX secolo, con la scissione dalla dipendenza di Galliera. Vi sorge accanto il campanile parrocchiale, la cui peculiarità è quella di essere il più piccolo d'Italia. In questa zona di confine è possibile incontrare ancora la casa rurale di tipo bolognese, a pianta quadrata, con coperto a quattro spioventi aggettanti, affiancata
dalla grande stalla-fienile dal tetto piramidale e, frequentemente, dalla caratteristica “casella", una sorta di tettoia originariamente destinata a deposito per la canapa da gramolare. Esemplificativa di questa tipologia casa Lisi.
Sul canale Riolo, ai confini di Chiesa Nuova, sorge la Torre del Cocenno, con annessa una casa colonica nel XVIII secolo: l'edificio, con funzioni di avvistamento, sembra risalire al X secolo. A circa sei chilometri dal paese si apre invece la tenuta Raveda, che nel'500 era considerata un autentico paradiso terrestre e che nel XVIII secolo si ascriveva alla proprietà del cardinale Aldrovandi-Marescotti. Qui si erge la piccola chiesa della Madonna della Neve, riproduzione romanica eseguita nel 1900 dall'architetto Luigi Gulli di Bologna.
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Coronella
Il termine "Coronella" indica ancora oggi in idraulica un argine a pianta curva che serve di sostegno a un'arginatura fluviale pericolante. Il nome Coronella rievoca dunque antiche vicende di terre paludose, arginate per le continue alluvioni. Il paese nacque, tra il 1526 e il 1604, nel luogo precedentemente occupato dall'abitato di Torre del Fondo, sorto nel XIII secolo, posto dai ferraresi sul canale navigabile per Bologna e raso al suolo da un'alluvione del Reno. L'area di Torre del Fondo fu inclusa da Ercole I d'Este nel risanamento della Sammartina: venne cioè racchiusa entro l'argine circondario, o coronella, che da Porotto, fiancheggiando il Ladino, giungeva alla Torre del Fondo, costeggiava la Torre dell'Uccellino, quindi San Martino, fino ad arrivare a Marrara. E' invece da attribuire ai Costabili la precedente bonifica della tenuta del Cominale. A Torre del Fondo, dove secondo il censimento del 1590 vivevano, congiuntamente alla villa del Cominale, 721 abitanti, la famiglia dei Pasqualetti, ricchi possidenti della zona, eresse nel 1500 una chiesa dedicata allo Spirito Santo, elevata a parrocchia sotto la dipendenza di Porotto. Nel 1604 però l'immissione del Reno nella Sammartina lasciò le ville di Torre del Fondo, Cominale e Giare nella zona non arginata, cosicché, alla metà del XVII secolo, l'antico paese fu distrutto dalla furia del fiume. Solo quando il Reno venne inalveato nel Canale Benedettino, nel 1767, riprese l'afflusso di abitanti in queste terre ormai libere dalle acque.
Coronella sorse tra il bolognese e il ferrarese, a cavallo della "via della Confina”: tanto che ancora oggi questa strada divide la parte del paese amministrata dal Comune di Poggio Renatico da quella afferente al Comune di Vigarano Mainarda. Anche la storia religiosa risente di questo carattere limitaneo. Il cardinale Gian Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, e monsignor Ruggero Bovelli, arcivescovo di Ferrara, convennero però nell'unione dei territori delle due diocesi per formare la curazia di Madonna Boschi-Coronella. Nel 1959 invece monsignor Natale Mosconi divise la curazia e creò due nuove parrocchie, riconosciute civilmente il 20 luglio 1961 dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nel 1964, nel centro del paese, in luogo dell'oratorio di proprietà. della famiglia Zamorani, venne eretta l'attuale chiesa in stile moderno, sempre dedicata alla Beata Vergine del Rosario: la festa patronale ha luogo la prima domenica di ottobre.
Nel corso della prima guerra mondiale, nel 1917, i prati di Coronella, liberi da alberi e casolari, furono scelti per costruirvi un deposito di munizioni d'artiglieria e di bombe d'aviazione, dapprima dislocate nel Veneto. Prima della sua scomparsa, nel 1926, quel sito fece vivere momenti drammatici quando, nel 1919, esplose parte del deposito denominato Cà Bragliona, fortunatamente senza coinvolgere l'abitato.
Poco lontano dal centro del paese si apre l'antica tenuta agricola Ghisiliera, che oggi ospita l'agriturismo che prende il nome dalla Torre del Fondo in cui sorge Secondo la ricerca storica condotta dal professor Gianni Cerioli, i primi proprietari documentati con sicurezza furono i Galvani, fattori ducali: un atto del 6 maggio 1532 attesta come Battista Galvani concesse la tenuta a Zamino di Gerardo Galvani, in garanzia di un prestito ricevuto. Allora la tenuta era costituita quasi esclusivamente da terreno boschivo, con salici e canneti, quasi per nulla bonificata e priva di immobili. La proprietà rimase ai Galvani fino all'8 maggio 1625, quando Girolamo e Baldassare Galvani la vendettero a Francesco e Ludovico Gennaiosi, figli di Onofrio Bevilaqua. In seguito la tenuta finì al solo Francesco, che la incluse alla dote della figlia Bradamante Bevilaqua, sposatasi nel 1647 in seconde nozze con Conte Francesco Calcagnini IV. Fra il 1681 e il 1685 circa Giuseppe Scrofa e la moglie Deianira Calcagnini procedettero alla bonifica della tenuta, costruendo due case coloniche, un fienile e la Torre: un'operazione particolarmente costosa che ne aggravò il dissesto economico. Ciò costrinse la famiglia alla vendita della possessione, che venne acquistata, con rogito datato 13 maggio 1698, da Gennaiose Francesco Pio Ippolito Ghisilieri di Bologna, che andava acquistando beni a Ferrara e provincia in vista di poter ottenere la cittadinanza ferrarese.
Il nuovo proprietario fece costruire la piccola chiesetta di Santa Lucia, che da oratorio pubblico divenne anche sede della parrocchia della zona di Coronella-Vigarano Mainarda. Ancora problemi economici furono causa di un'ulteriore vendita, questa volta al Capitano Carlo Antonio Tebaldi, con atto del 6 maggio 1792.119 maggio 1825 i Tabaldi, dovendosi trasferire a Milano, cedettero la proprietà al Conte Camillo Trotti, che in data 14 maggio 1839, rivendette la tenuta all'ex corsaro Michele Bergando di Antonio, la cui famiglia procedette alla ristrutturazione degli immobili rurali presenti sulla proprietà e alla costruzione di una casa colonica posta fra la Torre e l'oratorio di Santa Lucia. E ancora, il 26 maggio 1846 la famiglia Bergado trasmise la tenuta al Conte Michele Fausto Prosperi, poi un nuovo passaggio a Pietro Paolo Balboni, in realtà un prestanome di Giacomo Nagliati. Il 25 maggio 1906 i fratelli Tancredi e Aristide Nagliati, a nome proprio e degli altri loro fratelli, vendettero al Cavalier Guglielmo Zamorani: ancora la famiglia ne detiene la proprietà.
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Gallo
C'è disaccordo sulla precisa etimologia del nome Gallo. La derivazione da “gallius", proposta da G. Pardi, non è condivisa dagli altri storici, che non ritengono persuasiva la connessione con la popolazione gallica; E. Cavicchi associa piuttosto il termine a un appostamento di guardie. Altri studiosi, tra cui A. Franceschini, rilevano come il toponimo abbia diffusione europea nel significato generico di "bosco": il paese in effetti sorse al centro di un antico dosso boscoso, nei pressi del canale navigabile di Malalbergo.
Nella seconda metà del XVII secolo il marchese Alessandro Cervelli, amministratore dei beni non feudali della signoria Estense nella zona della Sammartina, decise di far fronte agli impaludamenti di queste terre, tanto estesi da giungere alle porte di Ferrara, facendo volgere uno dei rami del Reno nella conca del Gallo. L'invaso, detto "Riazzo del Gallo", necessitò di impegnativi lavori di sterro e risultò di dimensioni tali da essere visibile ancora oggi, alla sinistra della Porrettana procedendo in direzione Bologna, nell'avvallamento conosciuto come "sgarbata".
Il piccolo borgo fu sempre soggetto all'umore del fiume e alle sue rotte, tanto che rimase abbandonato e privo delle risorse che gli giungevano dal vicino centro di Malalbergo, dal quale era sorto e da cui nel Settecento venne definitivamente separato per la costruzione dei maestosi argini del Reno.
Il paese assunse una certa importanza grazie al servizio di posta a cavalli, che, collegando Ferrara a Bologna, fermava a Gallo e ne movimentava gli scambi.
È possibile trovare attestazione di questa tappa, che si inseriva nel corso del viaggio di sei ore che separava le due città, nella vecchia guida itineraria stampata in francese a Milano nel 1823, in cui si fa riferimento alle bellezze panoramiche, alla comodità dei mezzi e ai luoghi dove il pericolo di essere svaligiati era maggiore.
La diligenza venne soppressa nel 1862, anno dell'inaugurazione dell'asse ferroviario Ferrara-Bologna: ciò fece perdere a Gallo la sua rilevanza. Solo quando la grande strada per Ferrara e Bologna divenne agevole e sicura, il piccolo borgo cominciò a crescere intorno alla sua piazza alberata, circondata da qualche casa a portico. Proprio in fondo alla piazza venne elevata nel 1712, per volontà della contessa Marescalchi di Bologna, la chiesa intitolata a Santa Caterina de' Vegri: unico edificio sacro della provincia dedicato a questa santa. Nata da nobile famiglia ferrarese, Caterina de' Vegri visse nel monastero del Corpus Domini di Ferrara, poi a Bologna, dove nel 1456 fondò un altro monastero: la festa patronale ha luogo tuttora il 9 marzo. Anche la chiesa di Gallo fu pesantemente danneggiata dalle alluvioni e venne interamente riedificata nel 1952: al suo interno è conservato un altare di marmi pregiati proveniente dalla basilica di San Petronio.
Non solo la chiesa, ma quasi tutto il paese dovette essere ricostruito a causa delle ultime inondazioni. Erano le 00:30 del 27 novembre del 1949 quando la rotta del Reno, per sormonto e cedimento dell'argine sinistro, investì 6mila ettari della pianura ferrarese e gli abitati di Gallo, Poggio Renatico e Coronella. A questa seguì una seconda rotta, sempre nel medesimo punto: erano le 13 del 14 gennaio del 1951 e vennero sommersi circa 1700 ettari; poi anche una terza, più drammatica, nel febbraio dello stesso anno, quando la fuoriuscita delle acque dalla precedente falla allagò 12mila ettari e gli abitati di Gallo, Poggio Renatico, Coronella, Madonna Boschi, Mirabello, Montalbano e San Bartolomeo in Bosco. La secolare questione del fiume è stata risolta dal sistema dello scolmatore del Reno, attivo da ormai quarant'anni.
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Madonna Boschi
Il territorio in cui sorge il borgo di Madonna Boschi figura nell'anno Mille fra i feudi dei Conti Malvasia, quindi, nel XIII secolo, venne acquistato per le cacce al cinghiale e alla volpe dalla famiglia Lambertini. Il suo nome nasce tardi, prendendo spunto da un oratorio dedicato alla Madonna costruito al limite boscoso delle paludi, dove sin dal 1293 il Reno aveva riversato le sue acque nelle valli verso il ferrarese. L'antico nome "Santa Maria dei Boschi' è legato a un piccolo e prezioso quadretto della Madonna donato nel 1643 da Papa Urbano VIII alla piccola cappella denominata "Cella dei boschi": l'immagine, racchiusa in una cornice argentea a larghi ornati, è un altorilievo policromo in cotto del XVI secolo, proveniente dalla distrutta chiesa del Molinazzo (l'oratorio e il borgo del Molinazzo sorgevano sulla strada verso Poggio, forse un dosso emergente dalle paludi). In seguito, nel 1738, Papa Lambertini (Benedetto XIV) concesse un privilegio in forza del quale questa Madonna divenne "Patrona dei boschi": da allora l'abitato mutò nome da "Madonna nei Boschi" a "Madonna dei boschi". Sempre ai Lambertini è da attribuire, nel 1647, la costruzione dell'attuale chiesetta, al posto del precedente oratorio.
L'edificio, di linea bolognese, presenta le capriate scoperte all'uso francesca¬no e un bel battistero marmoreo rinascimentale, proveniente da un'altra chie¬sa; sul fianco della facciata svetta il campanile con la piccola cupola a spicchi. Pare che la chiesa di Madonna Boschi sorga in un luogo poco distante dal¬la famosa rovere detta di Sant'Enrico, la "Rovere dei Boschi", individuata come punto di contatto fra gli antichi territori di Bologna, Modena e Fer-rara. Si dice che l'albero fosse stato piantato nel 1222 da una commissio¬ne di esperti per la delimitazione dei confini e a memoria dell'avvenimento. Madonna Boschi venne costituita in curazia insieme a Coronella per accordo del cardinale Gian Battista Nasalli Rocca, arcivescovo di Bologna, e di monsignor Rug¬gero Bovelli, arcivescovo di Ferrara; nel 1959 monsignor Natale Mosconi divise la curazia e creò due nuove parrocchie, riconosciute civilmente il 20 luglio 1961 dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Poco lontano dalla chiesa, al bivio fra la storica strada della Confina e la strada per Mirabello, è murata sull'altana di un pozzo una lapide posta nel 1883 dal conte Malvezzi per indicare il punto in cui sorgeva sin dal '300 la bolognese Torre Verga, demolita nel 1861.
Una curiosa testimonianza è offerta poi da una grida, conservata nell'archivio parrocchiale di Poggio Renatico, che venne emanata dal Gonfaloniere di Ferrara e con la quale si condannavano i giochi d'azzardo che nel 1788 si tenevano lungo la strada della Confina. Sono pure annotate le intemperanze giacobine del novembre 1800. Sempre nel 1800 la storia parla di un passaggio di Napoleone Bonaparte: da lui un'antica strada ha assunto la denominazione di via Imperiale. Così come un tempo delimitava il confine fra lo Stato Pontificio e lo Stato di Bologna, questa via segna oggi il confine fra le due parti del paese, comprese l'una nel territorio del Comune di Poggio Renatico, l'altra in quello del Comune di Vigarano Mainarda. Nel corso della prima guerra mondiale, subito dopo la battaglia di Caporetto, l'immensa prateria a sud del borgo, poiché priva di alberi, casolari e fossati, fu scelta quale sede di un campo d'aviazione americano e di uno della marina da guerra italiana, che sorse poco distante. Di qui, nel 1918, partirono gli aerei per le ultime azioni della battaglia del Solstizio e di Vittorio Veneto, che condussero alla vittoria il nostro esercito. «Gli apparecchi frementi, come da desiderio» sono ricordati da Filippo de Pisis in un brano di prosa scritto in quel tempo a Poggio Renatico, ispirato «dall'ebbrezza di un mondo nuovo apparso d'un tratto». Al termine del conflitto i campi vennero riadattati e utilizzati come centro di addestramento per i piloti dal 1920 al 1940. Durante la seconda guerra mondiale, in seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, i soldati italiani di stanza al XII magazzino d'Italia, meglio conosciuto come campo d'aviazione di Poggio Renatico, si dispersero: i tedeschi vi subentrarono e scelsero Madonna Boschi per operazioni di controllo di materiale bellico e di conseguente deposito. Dal dopoguerra sono state condotte varie azioni di bonifica per restituire alle campagne la loro sicurezza.
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Cenni Storici
Non esistono notizie precise sulla fondazione di Poggio Renatico: il ritrovamento di olle vinarie nei pressi dell’attuale abitato testimonia tuttavia di origini remote. Il paese viene menzionato già in documenti bolognesi di età medievale con il nome di Podio, Podio Rognatico o Raunatico e infine di Poggio Renatico. L’etimologia del toponimo è legata ai termini ‘podium’, che fa riferimento ai cumuli artificiali di terra emergenti dalle acque, e ‘reunatico’ (da reuna), a indicare una motta sabbiosa; meno fortuna trova oggi la derivazione della seconda parte del nome dal vicino fiume Reno, che anticamente doveva scorrere piuttosto distante.
Signori di Poggio, secondo alcune fonti sin dal 972, furono i Lambertini. La prima fase del loro dominio conobbe alterne vicende: nel 1363 i Viscontiani assalirono il castello di Poggio, che nel 1390 Bologna riconobbe ai Lambertini; nel 1403 il feudo venne confiscato ad Aldraghetto Lambertini e affidato al capitano ferrarese Uguccione Contrari, quindi venne restituito nel 1412; a metà del ‘500 poi una serie di attentati, attribuiti a Girolamo Borgia, figlio naturale del duca Valentino, scosse la casata bolognese. La dinastia governò a lungo su Poggio Renatico: al 1598 risalgono gli “Statuti della Comunità del Pogio” emanati da Cornelio e Cesare Lambertini, confermati da Guido Antonio nel 1662; nel 1625 Cornelio poté erigere a marchesato la contea del Poggio; nel 1738 i signori del ‘Podio Renatico et Uniti’ fissarono i confini dei loro possedimenti collocando dei cubi di marmo di Verona, tuttora visibili intorno sul territorio. Il feudo passò il 10 luglio 1735 a Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV. Alla sua morte però, il 3 maggio 1758, la grandezza dei Lambertini entrò in crisi, provata anche dalle rotte del Reno e dai fermenti che sfociarono nella rivoluzione francese.
All’estinzione della stirpe, agli inizi dell’’800, Poggio Renatico seguì la sorte del territorio bolognese e passò al dominio pontificio, sotto la giurisdizione del Legato di Bologna: fu allora sede di un Governatorato, di una Pretura, delle Carceri Mandamentali e di un grosso Comando di Carabinieri Pontifici. Con Regio Decreto del 15 dicembre 1860 il paese fu incluso nella Provincia di Ferrara e, sempre in quell’anno, venne adottato lo stemma comunale. Poco dopo, il 20 gennaio 1862, fu inaugurato il tronco ferroviario Ferrara-Bologna, con la chiusura della vecchia stazione di posta a cavallo di Gallo. Ciò tuttavia lasciò immutati secolari problemi: carenze igieniche e alimentari, determinate dalla povertà della gente, colpita anche da terribili epidemie. La disoccupazione bracciantile venne affrontata con la costituzione di numerose associazioni cooperative e leghe di resistenza: nel 1882 la Società Operaia di Mutuo Soccorso, nel 1884 la Società Reduci delle Patrie Battaglie, nel 1890 l’Associazione Cooperativa tra Operai Braccianti e Costruttori, nel 1903 l’Unione Cooperativa di Consumo, nel 1919 la Cooperativa di Produzione agricola e Lavoro e all’inizio del XX secolo la Lega sindacale.
La storia di Poggio Renatico è inoltre profondamente correlata alla contiguità con il fiume Reno, che ne ha fortemente influenzato l’assetto urbanistico e architettonico, il cammino economico e sociale. Se l’inalveamento artificiale nel corso attuale, nel 1724, consentì la costituzione delle prime possessioni rurali intorno a cui si sviluppò l’abitato, le sue piene e le sue rotte hanno spesso seminato distruzione. Nel recente passato le acque hanno invaso il paese nel 1842, nel 1864, nel 1889, nel 1896, nel 1949, nel 1950 e nel 1951.
Non solo alluvioni. Il territorio di Poggio Renatico è stato colpito dal terremoto del 20 e 29 maggio 2012. Molte persone hanno perduto le abitazioni e sono alle prese con il loro recupero, così come varie attività economiche hanno affrontato l’esperienza dei moduli provvisori e della delocalizzazione. Le scosse hanno lasciato profonde ferite nel patrimonio. Lunga la conta dei danni: dal crollo della Torre dell’Orologio di Castello Lambertini, che registra danneggiamenti anche in diversi altri punti della storica struttura, all’inagibilità di tutte le chiese, della scuola primaria del capoluogo con la sua palestra e dell’ex Spazio Bambino di Madonna Boschi, sino alle lesioni alle antiche torri. La comunità ha saputo reagire affrontando con orgoglio e determinazione la situazione, potendo contare sul grande sostegno giunto da più parti d’Italia. La Struttura Commissariale e l’Amministrazione Comunale hanno operato in piena sintonia per la realizzazione delle messe in sicurezza e della realizzazione di edifici temporanei, guardando con fiducia alla ricostruzione e alla ripartenza.
Poggio Renatico è legato a filo doppio anche alla storia dell’aviazione.
Dove oggi sorge la base dell’Aeronautica Militare, in via Ponte Rosso - via Cantone, un tempo si trovava l’antico impianto aeroportuale, dedicato dal 1923 al tenente bolognese Giuseppe Veronesi, che durante la Grande Guerra si distinse come “osservatore d’aeroplano”.
Su questo campo si diceva fossero atterrati all’inizio del secolo i fratelli Wilbur e Orville Wright (invitati dal Club Aviatori Ferraresi) e transitarono famosi pionieri del volo, quali Francesco Baracca, Mario Pezzi, Carlo del Prete, Arturo Ferrarin, Fausto Cecconi, Umberto Maddalena, Umberto Nobile, Ruffo di Calabria, Cerutti, Italo Balbo, Gabriele D’Annunzio. E ancora De Pinedo, Valle, Fougier, Finzi, Censi, Locatelli.
La storia dell’aeroporto militare inizia dopo la disfatta di Caporetto: i lavori di costruzione dell’impianto cominciarono nei primi mesi del 1918 e alla fine di ottobre dello stesso anno decollarono dalle sue piste i triplani e i biplani impegnati nelle ultime azioni durante la “Battaglia del Solstizio” e di Vittorio Veneto, che condussero l’esercito italiano alla vittoria.
Negli anni ‘30 l’aeroporto divenne sede anche di una scuola teorico-pratica di volo a vela, dove si formarono alcuni futuri piloti della Regia Aeronautica e dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana.
Con la conclusione della seconda guerra mondiale il campo di aviazione venne completamente abbandonato e solo alla fine degli anni ’60 vi furono costruite alcune palazzine e istallato un radar. Nel 1972 l'11° Centro Radar, costituito a Ferrara nel 1950, venne trasferito a Poggio Renatico e integrato nella catena di comando e controllo Nato.
Nella base di Poggio Renatico oggi sono ubicati il Coa e il Daccc.
Dal 4 ottobre 2010 è stato costituito il Comando Operazioni Aeree (Coa), con i compiti di partecipazione alle operazioni aeree, esercitando il comando e controllo degli assetti SAR (ricerca e soccorso), di trasporto aereo cosiddetto operativo (incluso quello da/per i teatri fuori dai confini nazionali, ma ad esclusione dei voli di stato) e della difesa aerea, questi ultimi in casi particolari di minaccia alla sicurezza nazionale. Inoltre il Comando è responsabile della supervisione, coordinamento ed approvazione delle attività quotidiane di volo. Può essere chiamato a realizzare un’idonea cornice di sicurezza aerea in occasione di eventi di “elevata visibilità” (esempio il vertice G8 – Aquila 2009).
Il 1° gennaio 2013 è stato costituito il Centro Rischierabile di Comando e Controllo della Nato - Daccc (Deployable Air Command e Control Centre), che segna un nuovo inizio per la presenza della Nato a Poggio Renatico, in quanto rappresenta la prima unità del suo genere, concepita per fornire flessibilità alla struttura di Comando e Controllo aereo dell'Alleanza Atlantica attraverso strutture mobili e proiettabili. La necessità di questo nuovo ente nasce dalla considerazione dell’evoluzione degli scenari internazionali con l'accresciuta esigenza di poter controllare operazioni aeree anche ben al di là del territorio dei Paesi dell’Alleanza.